Roma fino al 22 aprile 2018
G.B. Piranesi, Veduta del Campidoglio, 1761-1778

Il Tesoro di Antichità. Winckelmann e il Museo Capitolino nella Roma del Settecento

L’esposizione si inserisce nel contesto delle manifestazioni europee per celebrare il padre dell'archeologia moderna a 300 anni dalla sua nascita e a 250 dalla scomparsa

Roma, 1755, Johann Joachim Winckelmann si trova nella Capitale per trascorrere un periodo di studio grazie a una borsa di studio conferita dal principe Elettore di Sassonia. Passa giorno e notte ad esercitarsi sulla lettura dei fasti gloriosi della città e della cultura italica, ed elegge il Campidoglio - primo museo pubblico d’Europa - a uno dei suoi luoghi privilegiati per stabilire un contatto diretto con l’antico. Per lo studioso di origini tedesche sono anni di ricerche sul campo, riflessioni sulle fonti letterarie, messa in discussione di parametri precedenti, elaborazione di criteri stilistici nuovi per valutare i manufatti, che confluiscono nel 1764 nella sua opera di riferimento: Storia dell’Arte nell’Antichità. A 300 anni dalla nascita del primo cultore dell’archeologia moderna e a 250 dalla sua scomparsa, i Musei Capitolini, con la rassegna espositiva Il Tesoro di Antichità. Winckelmann e il Museo Capitolino nella Roma del Settecento, curata da Eloisa Dodero e Claudio Parisi Presicce, offrono la possibilità di riconsiderare alcuni pezzi della collezione scultorea alla luce della perspicacia dell’archeologo nato a Stendal nel 1717 e di rileggere la storia dell’Istituzione, formatasi nel 1733, in una formula narrativa nuova.

Il percorso della mostra si articola su tre sedi: le Sale Espositive di Palazzo Caffarelli, le Stanze Terrene di Sinistra del Palazzo Nuovo e le Sale del Palazzo Nuovo. Lungo gli spazi del primo edificio corre il racconto della nascita e dell’evoluzione dei Musei Capitolini, dall’importante premessa costituita dall’allestimento del portico della Roma Cesinel cortile del Palazzo dei Conservatori, all’acquisto di 416 sculture da parte di Clemente XII (r. 1730- 1740) della collezione del cardinale Alessandro Albaninel dicembre del 1733, che testimoniano lo stretto rapporto tra vita culturale della città e l’attenzione da parte dei vertici religiosi, fino alla pubblicazione tra il 1741 e il 1755 del primo catalogo illustratodelle sculture capitoline. Questa prima sezione testimonia un altro aspetto importante della fase inziali dei musei capitolini, che diventerà un modello su scala europea: l’accesso gratuito per artisti e studiosi, in modo da incrementare la diffusione della conoscenza delle sue raccolte di opere. Completano la visita le vedute e i disegni realizzati dall’artista francese Hubert Robert (1733-1808), oggi divisi tra i musei di Valence e Valenciennes e il Getty Museum di Los Angeles, che documentano la Piazza del Campidoglio e i palazzi capitolini nella seconda metà del ’700; i ritratti di Pompeo Batoni(1708- 1787), provenienti dal Museo del Prado e dalla Galleria Nazionale di Arte Antica di Palazzo Barberini, che conferiscono un volto ai papi e alle personalità che sostenevano il valore culturale del Museo Capitolino. L’area espositiva di Palazzo Caffarelli si chiude con una voce fuoricampo, accompagnata dallo scorrere d’immagini e riproduzioni virtuali di documenti, che racconta alcuni momenti e luoghi simbolo, nonché alcuni pensieri elaborati da Winckelmann durante il suo soggiorno a Roma.

Se le Stanze terrene di sinistra del Palazzo Nuovo danno visibilità ad allestimenti espositivi ormai andati perduti, consentendo allo spettatore di verificare gli ambienti del Museo di memoria settecentesca; le Stanze di Palazzo Nuovo, casa della collezione permanente del museo, consentono un tour riscritto attraverso le opinioni di Winckelmann. Tra i vari oggetti d’attenzione dello studioso tedesco non si può non citare la cosiddetta Venere Capitolina, descritta come “più donna di quella di Firenze” nella messa a confronto con quella medicea, elegendola a modello di riferimento per le altre statue con la medesima tipologia. Sotto la sua lente attenta passa anche il Ritratto di Nerone/Domiziano, prima età imperiale, individuando le fattezze originali solo nella metà superiore della testa; mentre studi recenti ritengono il frammento originale, in cui si riconoscono i tratti di Domiziano, una rilavorazione in antico a partire da un ritratto di Nerone. Ed è ancora Winckelmann che per primo confuta l’attribuzione di un busto a Seneca, ipotizzando l’identificazione con una personalità vissuta in epoca più antica rispetto al poeta. Queste sono solo alcuni esempi dei notevoli esercizi e contributi dati da Winckelmann all’archeologia moderna e allo studio delle arti, rivoluzionando il modo di studiare le testimonianze del mondo antico, come un Novello Colombo, così come lo ha definito Johann Wolfgang.