Roma fino al 6 maggio 2018
I fidanzati, 1965 Foto Archivio Cesare Tacchi

Cesare Tacchi. Una retrospettiva

Roma rende omaggio all'artista scomparso poco più di tre anni fa con una mostra che ripercorre le tappe fondamentali della sua ricerca

È nell’Italia del boom economico, nel paese in preda ad una fame bulimica di consumi, nella Roma della “dolce vita”, che fa il suo debutto nel modo dell’arte un giovane artista di nome Cesare Tacchi. È il 1959, infatti, quando il nome di Tacchi accompagna per la prima volta Mario Schifano e Renato Marbor in una esposizione alla galleria capitolina denominata Appia Antica. È l’avvio di una lunga carriera che perdura sino ai primi anni 2000 e si esaurisce con la morte dell’artista nel 2014.

A quattro anni ormai dalla scomparsa, il Palazzo delle Esposizioni rende omaggio a Cesare Tacchi, offrendo al visitatore una panoramica di circa 100 opere dislocate nelle sale intorno alla rotonda. L’iter espositivo, scandito da un agevole supporto documentativo, segue in maniera diacronica la ricerca creativa dell’autore, mettendo in luce un corpus di opere, soprattutto quella appartenenti agli anni d’esordio, ancora poco conosciuto.

La stanza di apertura propone numerose annotazioni riguardanti la vita dell’artista, accompagnate da immagini provenienti dall’archivio personale, che tengono conto del contesto culturale entro il quale Tacchi muove i primi passi, introducendo al pubblico anche le fasi della maturazione, la sperimentazione di alcuni esercizi artistici e la messa in discussione dei medesimi, sino al ritorno alla pittura degli anni ’80. La mostra si apre, dunque, con alcune opere della prima ora, come Giallo cromo n. 4, realizzato con legni ed elementi di recupero di natura metallica e resi omogenei da una stesura brillante dell’omonimo colore. Queste lasciano il passo a nuove formule che caratterizzano la sua produzione a partire dal 1962, dove l’attrazione per l’automobile prende il sopravvento, scoprendo “una realtà più fisica più concreta”. A questa fase appartengono lavori come Struttura bianca su nero, TO 531. Prova o Circolare rossa (1963). La seconda sala riprende, oltre alle macchine, l’interesse di Cesare Tacchi per l’essere umano e lo spazio abitato. Un interesse non analitico sul piano anatomico ma scrupoloso su quello psicologico e sociale. Le figure sono asciugate nelle loro linee essenziali, voltano le spalle all’osservatore, e l’ambiente privato della casa straborda dalla tela per dare vita ai cosiddetti “quadri imbottiti”, che trovano la loro prima occasione espositiva a La Tartaruga di Plinio de Martiis. A questa serie appartengono, com’è noto, anche Poltrona rossa e Poltrona gialla, oggetto-simbolo di comodità, dell’agiatezza della classe borghese e del vivere in società. Nelle produzioni successive le dinamiche domestiche vengono messe a soqquadro, Tacchi, infatti, preferisce privare quegli oggetti, un tempo incarnazione della natura oziosa dell’uomo, della loro funzione d’origine e riscriverne l’utilizzo, come evocano gli stessi titoli delle opere: Poltrona inutile (1967) e Sedia bucata del 1967.

Al 1968 appartiene un altro esperimento di Tacchi, Cancellazione d’artista, un’azione proposta nell’ambito del “Teatro delle mostre”, la rassegna organizzata da de Martiis, durante la quale egli si colloca all’interno di una nicchia, velando con dello smalto una lastra di plexiglass trasparente che lo separa dallo spettatore sino a scomparire dalla vista esterna. Agli anni ’70 appartengono altri progetti che lo vedono ancora impegnato fisicamente. Se in un primo momento egli aveva ricercato l’assenza, nello studio di Elisabetta Catalano ambisce alla presenza. Non a caso Tacchi si ricolloca dietro una nuova lastra di plexiglass, opacizzata da uno smalto bianco, adoperandosi per ripulirla sino a fare riemergere alla vista il suo corpo. Dalla sequenza di foto scattate dalla Catalano realizza l’edizione Painting. Per un altro lavoro fotografico si serve della collaborazione con Claudio Abbate, con il quale realizza una sessantina di scatti nei quali compare la mano dell’artista che impugna una penna e gradualmente si sposta su un foglio segnato da coordinate cartesiane, ma il movimento non rivela altro che un’azione esclusivamente fisica che non lascia alcuna traccia del suo passaggio sulla carta. Con gli anni ’80, in perfetta consonanza con i suoi colleghi, Tacchi riprende a lavorare con più intensità con il mezzo pittorico. Nel 1982 nasce, ad esempio, Uccel di bosco che rievoca ll Sogno di Henri Rousseau, come a dire che la pittura rappresenta ancora il rifugio sicuro entro il quale fare ritorno.

La retrospettiva, nel suo complesso, offre l’occasione di seguire e rileggere tappa dopo tappa l’excursus creativo di Cesare Tacchi, di conoscere la natura progettuale di certi sviluppi, di ragionare su alcuni passaggi critici della storia dell’arte di cui egli è stato testimone ma, prima di tutto, interprete.

INFO
Cesare Tacchi. Una retrospettiva
A cura di Daniela Lancioni e Ilaria Bernardi

Palazzo delle Esposizioni
Roma, 7 febbraio – 6 maggio 2018
www.palazzoesposizioni.it